Comunicare un piccolo evento su base locale
Una piccola guida per una puntata molto pratica di Sobrietà
Da tempo volevo dedicare un po’ di spazio a una delle rare circostanze in cui gli strumenti digitali tornano ad essere quello che dovrebbero essere – semplici strumenti, appunto, da usare senza farci troppa filosofia attorno. Solo che mi sono fatto prendere la mano ed è venuta fuori una vera e propria guida, certo non esaustiva, alla promozione di piccoli eventi su base locale: una puntata estremamente pratica di Sobrietà, che dopo questa uscita si prende una piccola pausa e torna l’11 maggio. Buona lettura.
Eventi, eventi, eventi. Evento dell’anno. Film evento. Libro evento. Evento Facebook. La parola Evento è di quelle ormai scabrose, abusate, inascoltabili. Eppure è lì, a indicare qualcosa che può essere molto importante per noi o per un certo gruppo di persone. Non mancate! Vi aspettiamo!
La domanda è: come si può comunicare l’importanza del nostro evento in un mondo costantemente eccitato da cose che accadono ovunque, di continuo, in cui ogni evento è imperdibile?
Non è semplice, ma proviamo a ipotizzare di promuovere un piccolo evento pubblico su base locale. Un incontro su un tema di qualche rilevanza per una piccola comunità cittadina, la presentazione di un libro, una festa, un piccolo concerto o un piccolo festival, ma anche un evento sportivo, associativo o aziendale.
Una premessa importante è che specialmente quando si parla di eventi di piccole dimensioni, la comunicazione inizia già nel momento dell’ideazione di tutto il baraccone. Difficilmente si otterranno buoni risultati se si scinde il momento della progettazione e dell’organizzazione da quello della promozione. Stare da subito dentro al cuore dell’evento consente di comprenderne lo spirito e l’urgenza, di capire a chi comunicarlo e con che tono.
Comprendere l’urgenza e la necessità di organizzare un evento è fondamentale: se l’evento non ha una sua forza specifica, se non tocca in qualche modo le persone che vi parteciperanno, se è realizzato giusto per accontentare l’ego degli organizzatori – ecco, semplicemente non riuscirà. E questo al di là dei numeri. Non c’è promozione che tenga: potranno esserci cento o mille persone, ma mancherà qualcosa in termini di entusiasmo, coinvolgimento, impatto sul territorio.
Chi siete? Cosa volete?
Iniziamo dal pubblico. Questo evento avrà certamente uno o più gruppi di persone interessate. Per quanto piccolo possa essere il posto in cui ci si muove (una piccola città o paese, il quartiere di una grande città), com’è ovvio il pubblico di riferimento potrebbe non coincidere con tutta la popolazione residente. Allo stesso tempo, potrà interessare anche a qualcuno che non è del posto, che dovrà essere intercettato con un piccolo sforzo in più in base alla distanza geografica.
Bisognerà quindi cercare di capire a chi vogliamo rivolgerci, e da lì partire per fare delle liste di soggetti o anche singole persone che in qualche modo possono essere interessate a quello che andremo a proporre.
È un ragionamento che procede per cerchi concentrici, che possono anche intersecarsi tra loro: se, ad esempio, stiamo organizzando uno spettacolo teatrale, nel primo cerchio potrebbero esserci le associazioni e le compagnie teatrali del territorio, i loro soci e i loro iscritti, i quali potranno farsi a loro volta portavoce del nostro evento, consentendoci di raggiungere il secondo cerchio, in cui potrebbe esserci il loro pubblico. Nel terzo cerchio – lo so, sembra una cosa dantesca – potrebbero esserci intermediari di settore come altre associazioni, istituzioni o giornalisti culturali, con cui…
Hai detto giornalisti?
Sì, l’ho detto e non è una parolaccia. Nonostante i social e la possibilità di fare da sé, nella promozione di un evento puntualmente viene fuori l’idea di buttare giù un comunicato o invitare la stampa al nostro evento, aspettandoci come minimo un trafiletto su questo o quel giornale o addirittura un passaggio televisivo. Questo perché la stampa tradizionale continua a esercitare il suo fascino su pubblico e organizzatori anche nelle piccole realtà, dove paradossalmente è ancora più in crisi e si va avanti a pubbliredazionali spacciati per articoli originali. Checché se ne dica, alla stampa si continua ad accordare una strana forma di autorevolezza piuttosto dura a morire.
Le domande però sono le stesse che si pongono a livello nazionale: quanta gente legge ancora i giornali, guarda la tv o ascolta la radio? Diciamo allora che “uscire” sulla stampa è una questione di reputazione, o per essere ancora più brutali: la pubblicazione di un comunicato serve sostanzialmente a condividere quel contenuto sui nostri canali social. Poco importa che l’immaginetta con l’articolo sia poco leggibile su Facebook o Whatsapp, l’importante è poter dire che il maggior quotidiano locale ha dato notizia di quello che stiamo organizzando. È un fatto di puro posizionamento, ma è comunque importante, perché va ad accrescere anche l’autorevolezza degli organizzatori.
Ancora più importante è stabilire un rapporto con i giornalisti che di solito seguono eventi come i nostri, riuscire ad avere una relazione continua con loro in modo che, col tempo, possano sviluppare contenuti in piena autonomia e seguirci davvero, senza limitarsi a rimbalzare i comunicati che gli inviamo, proponendo magari un’intervista agli stessi organizzatori o agli ospiti di una certa manifestazione. Questa è una cosa che ha senso.
Carattere
Una volta definito il pubblico del nostro evento, si può passare allo sviluppo del suo carattere. O meglio alla traduzione di questo carattere per il pubblico, perché è evidente che per noi quello che stiamo organizzando ha già un’identità specifica, una sua voce, un suo timbro fin dal momento in cui abbiamo pensato di metterlo in piedi.
Comunicare è sempre organizzare una serie di informazioni, ridurre la complessità e tradurre quello che abbiamo in mente in una lingua intellegibile (e perché no piacevole) per gli altri. Lo stesso è per gli eventi, ed è in questo che la parte di comunicazione si intreccia con quella di progettazione. Al pubblico non devono arrivare gli sforzi di messa a fuoco di ciò che stiamo proponendo, le discussioni interne e i vari livelli di organizzazione e di locura che hanno portato alla definizione del programma dell’evento. Al pubblico deve arrivare il suo carattere più intimo, con un tono di voce in grado di parlare davvero alle persone potenzialmente interessate.
Il carattere dell’evento deve in qualche modo risuonare, attraverso i materiali di comunicazione, nel cuore del pubblico che intendiamo raggiungere.
Forma, format e formati
Nel dare identità e forma al nostro evento, possiamo partire dal format da esso rappresentato (è un piccolo festival? Un incontro secco? Un torneo notturno di calcetto?) e farci ispirare da quello che si fa di solito con questo tipo di appuntamenti, oppure al contrario sviare dalla comunicazione tradizionale e fare a modo nostro. L’importante è che la comunicazione non rompa il codice che può rendere rilevante il nostro evento per il pubblico che abbiamo individuato.
Quanto al tono di voce dei testi, è vero che i social hanno reso tutto più informale, ma magari non è il caso di eccedere con emoji, ammiccamenti e occhiolini, e neppure – in un impeto di restaurazione – riprendere formalismi tipo “interverrà il dott., l’avv., il geom.” eccetera. Dobbiamo trovare la voce giusta per l’evento: non necessariamente la stessa che parla il nostro pubblico, piuttosto quella più adatta per parlare con il nostro pubblico.
Piccolo esempio per l’organizzazione e il dosaggio delle informazioni, invece: stiamo invitando un certo autore a presentare il suo ultimo libro in città. Può essere che questo autore abbia già un suo seguito a livello nazionale o da qualche altra parte in Italia, ma non nella nostra zona. Allora sarà necessario capire come fare arrivare la rilevanza del suo lavoro alle persone che vogliamo intercettare, raccontando la sua biografia oppure, al contrario, concentrandoci direttamente sul valore del suo ultimo libro: il fatto che l’autore abbia pubblicato per grandi editori potrebbe non avere alcuna importanza per il nostro pubblico, mentre il tema trattato dal testo potrebbe essere di stretta attualità e quindi generare curiosità e coinvolgimento.
In genere, per la presentazione dell’evento si parte da un testo lungo, che può essere il comunicato stampa o uno spiegone per gli sponsor, per andare poi a ricavarsi testi più brevi, con un tono adeguato, per altri canali (social, mail, messaggi privati). Sembra scontato, ma è importante non dimenticare mai di riportare le informazioni base del nostro evento: data e luogo in cui si terrà, ma anche modalità di accesso (ingresso gratuito o a pagamento? Con tessera o senza? Consumazione obbligatoria? È necessario prenotarsi? Se sì, come?).
Lo stesso discorso vale a livello visivo: le cosiddette “grafiche”, per cui è importante trovare il punto in cui estetica e leggibilità convivono al meglio. Riprendendo il gioco di parole di prima tra forma e format, c’è da tenere presente che la comunicazione visiva dà vita a un elenco potenzialmente infinito di formati: quadrato per Instagram, verticale in 9:16 per le storie, orizzontale per Facebook (con dimensioni diverse tra evento e pagina) ed eventualmente per il banner sul nostro sito, 70x100 e A3 verticale se si vuole andare in stampa con una locandina tradizionale, A5 per i volantini (che andranno per lo più buttati), 6x3 orizzontale se vogliamo proprio rovinarci… C’è da impazzire, ma anche qui l’importante è pianificare e selezionare: non è detto che tutti i canali siano adeguati rispetto al contesto in cui ci muoviamo, non è detto che si debba essere ovunque.
Chiediamoci piuttosto quali canali sono più adatti al tono che vogliamo utilizzare, quali sono davvero presidiati dal nostro pubblico, e in che modo.
Per fortuna poi c’è anche il budget con cui fare i conti (c’è un budget, vero?), a porsi come limite rispetto alle infinite possibilità di promozione che si hanno oggi rispetto al passato. In generale, l’idea del limite è fondamentale quando si comunica: ci ricorda che non si può dire o fare tutto, e soprattutto che non si deve farlo dappertutto, a ogni ora del giorno.
Tempismo
Oltre al budget, un altro limite che può aiutarci nella definizione del piano di comunicazione (non avevo ancora detto “piano di comunicazione”, vero?) è il tempo. O meglio il tempismo, che nella promozione di un evento è forse la cosa più importante.
Anche qui può sembrare banale, ma ha davvero poco senso progettare l’evento più importante e meglio comunicato al mondo se poi non si “esce” al momento giusto. Non si tratta solo di programmare al dettaglio ogni piccolo passo di comunicazione, ma anche di sentire quello che accade attorno, di saper leggere il territorio in cui ci muoviamo.
Sapere di cosa si parla in città e comprendere quando è il momento giusto per iniziare a promuovere il nostro evento, anche rispetto ad altri appuntamenti concomitanti o potenzialmente concorrenti. Interrogarsi, in base al numero di informazioni che intendiamo dare al pubblico, su quanto tempo prima è opportuno iniziare a promuovere il nostro appuntamento, senza partire con troppo anticipo o al contrario ridursi all’ultimo minuto.
In giro è pieno di eventi interessanti che vengono comunicati letteralmente il giorno prima, o che fanno i fuochi d’artificio con due mesi d’anticipo e arrivano stanchi al momento in cui bisogna alzare il tiro.
Abbracciare il caos
Quando si organizza e si comunica un evento c’è sempre qualche istante di puro caos. Momenti in cui si realizza di essere in ritardo, che non sta funzionando niente, che le persone non stanno rispondendo come dovrebbero. È naturale e, a meno di non aver sbagliato tutto, le cose tendono a sistemarsi da sole. Non sto scherzando. Gli eventi, piccoli o grandi che siano, sono organizzati da esseri umani: è naturale che qualcosa vada storto, e spesso nei passi falsi troviamo ottimi spunti per le prossime volte.
Quello che voglio dire è che a un certo punto bisogna accettare e in qualche caso abbracciare il caos. Come dicevo prima, ridurre la complessità e fare ordine è il primo obiettivo di ogni tipo di comunicazione: ma il caos fa parte dell’animo umano. L’importante è che un’idea di ordine arrivi comunque al pubblico. E se proprio non si riesce, va bene lo stesso: evidentemente, il carattere del nostro evento era proprio questo.
Mi è capitato più di qualche volta di non riuscire in alcun modo a ridurre il livello di caos di un certo evento. Occasioni in cui mi sono trovato a rincorrere gli organizzatori per capire come volessero comunicare mentre li vedevo aggiungere continuamente nuovi piccoli dettagli di allestimento dello spazio, chiamare nuovi ospiti all’ultimo minuto, spostare orari e cambiare persino modalità di partecipazione a, be’, evento praticamente in corso.
Quando le cose si mettono in questo modo, mi arrendo. Penso: evidentemente, la follia organizzativa è il vero carattere di questo evento. Quindi smetto di oppormi, accetto e accolgo il caos, seguendo – è il caso di dire – il corso degli eventi. Tutto sommato è sempre andata bene così: l’evento si è chiuso, la gente è venuta, ha apprezzato, nessuno tra gli organizzatori è morto o si è fatto male, e io a quanto pare sono ancora qui per raccontarvelo.
Raccontare un evento
A proposito di racconto, oggi si sono moltiplicate anche le possibilità di raccontare un evento in tempo reale. Dirette, post, storie Instagram, eccetera. Sugli eventi locali di piccole dimensioni ho sviluppato però un punto di vista piuttosto radicale, proprio per via della loro natura di esperienze di prossimità: la priorità dev’essere vivere l’appuntamento in presenza, privilegiando la produzione di materiale più accurato, da presentare a evento finito.
I vantaggi di questo approccio sono almeno due: da un lato, pubblicare foto e video a evento terminato significa essere molto più consapevoli di com’è andata a livello organizzativo, di come l’appuntamento è stato percepito dal pubblico, di quello che ha restituito in termini di emozioni, intrattenimento, scambi e riflessioni, e questo non può che aiutare nel raccontarlo. Da un altro lato, un materiale più pulito e coerente potrà rappresentare anche un ottimo veicolo di promozione del prossimo evento, spingendo chi non ha partecipato stavolta a farlo la prossima.
Senza dimenticare che, se le persone si trovano bene, in genere ci mettono poco a tirare fuori il telefono per raccontare quello che stanno vivendo attraverso i loro profili, promuovendo di fatto l’evento in tempo reale per contro nostro.
RSVP
Un’ultima cosa. Nel caso di un piccolo evento su base locale può essere molto importante utilizzare la messaggistica privata. Non per fare spam – anche qui, è necessario molto equilibrio – ma perché può aiutare a stabilire un rapporto diretto con le persone potenzialmente interessate alla nostra proposta, che con tutta probabilità sono persone con cui abbiamo già una relazione di qualche tipo.
Muoversi e organizzare iniziative su un territorio, in fondo, significa soprattutto stabilire relazioni, portare avanti un dialogo, a prescindere da ciò che si sta organizzando. E poi, a tutti piace ricevere un invito personale: al di là delle formalità di rito, è un modo per dare e ricevere attenzione.
Domande dal pubblico?
E con questo è tutto. Come dicevo in apertura, questa piccola guida non intende essere esaustiva: la materia è molto complessa e si potrebbe inquadrare anche da altri punti di vista. Inoltre le cose possono cambiare da città a città, di territorio in territorio.
Se, come si dice al termine della presentazione di un libro, ci sono domande dal pubblico, insomma se hai dubbi, domande o curiosità, scrivimi pure.
Bonus: una vecchia puntata di Sobrietà
Nella prossima puntata
Tornano le interviste di Sobrietà, con una chiacchierata con Paolo Landi, autore, manager ed esperto di comunicazione, di recente in libreria con La dittatura degli algoritmi (Krill Books). Ci leggiamo l’11 maggio.