Adulti consapevoli, adulti digitali. Intervista a Lorenzo Fantoni
Una conversazione a cuore aperto su giornalismo, comunità digitali e drammi da freelance
Più volte da queste parti ho segnalato la newsletter Heavy Meta di Lorenzo Fantoni. Trovo che Lorenzo riesca a raccontare la sua professione di giornalista con molta onestà e con uno spirito critico illuminante per chi vuole iniziare a scrivere in ambito digital/pop/tech.
Autore, moderatore e streamer, nella sua esperienza Lorenzo ha collaborato con La Stampa, Repubblica, Corriere della Sera, Wired, Vice, Esquire, Sky, DMAX e altre testate, mentre adesso è su RaiNews ogni giovedì con la trasmissione Altri Mondi, a cura di Dario Marchetti. Ha pubblicato il libro Vivere mille vite. Come i videogiochi ci hanno cambiato il futuro per effequ, ed è fondatore e direttore della rivista N3rdcore.
Classe 1981, Lorenzo rientra in quella strana generazione che è nata in un mondo analogico ma è subito cresciuta col digitale, tra internet e videogiochi. Siamo partiti da questo punto, da questo stare tra due dimensioni molto diverse, per iniziare la chiacchierata che segue.
Ciao Lorenzo. Tu sei, anche per ragioni anagrafiche, a metà tra un giornalista classico e un creator digitale. Come la vivi?
Direi in modo strano. Ma credo sia un sentimento condiviso anche da chi non è nato a cavallo della transizione tra analogico e digitale. Se produci contenuti e vuoi che girino e funzionino, una certa pressione la senti a prescindere dal contesto in cui sei cresciuto o hai iniziato a lavorare. Chiaramente io ricordo un mondo in cui questa cosa del promuoversi a tutti i costi non era obbligatoria, per quanto anche in passato un giornalista doveva avere una rete di contatti, farsi vedere in giro…
Ma poi funziona, questa continua autopromozione?
A volte ti gratifica, perché no. Ma altre gira male e francamente non c’è speranza di nascondere la cosa, soprattutto a te stesso. Quando non funziona non puoi farci niente. Poi per carità, a me piace pure, sperimentare con le piattaforme e le possibilità espressive. Anche se ogni tanto faccio un po’ fatica a star dietro a tutto.
Forse passiamo più tempo a diffondere contenuti che a progettarli bene. È possibile un equilibrio?
Equilibrio non saprei, ma si può puntare sulla consapevolezza che non dobbiamo sempre esserci a tutti i costi o parlare di tutto. Si può scegliere un argomento e lasciarne andare un altro, provare a fare quello che ci va di fare veramente. Senza colpevolizzarci se non siamo sempre sul pezzo. Non è facile, eh. Io personalmente provo a essere più distaccato. Ma è vero che si passa più tempo a parlare di un progetto che a dargli il tempo di formarsi. È lo stesso dramma del freelance: passi più tempo a fare proposte che a scrivere.
Immagino non sia l’unico dei problemi, per un freelance.
No, infatti, ce ne sono tanti. L’insicurezza generale, la mancanza totale di strumenti di pressione sulle aziende, soprattutto in editoria, a meno che tu non sia un personaggio enorme. Devi sempre stare con mezza testa sul lavoro che stai facendo, l’altra sul lavoro potenziale, su quello che ti vai a cercare proponendo contenuti e progetti in giro, come dicevo prima. Poi ci sono lavori che ti arrivano senza alcun preavviso e magari in quel momento non hai tempo, mentre per settimane o mesi ne avresti avuto eccome. Senza contare che c’è da organizzare anche il tempo della vita privata, della famiglia…
Un casino.
Sì, è tutto molto complicato e il problema grosso è che non sempre il lavoro è pagato bene. A fine giornata capita che sei distrutto, e a malapena riesci a far quadrare i conti.
Di fatto parliamo di autoimprenditorialità, con partita IVA, tasse e contributi da imparare a gestire.
Sì, come bisogna imparare a gestire anche i lavori da prendere. C’è quello pagato bene, che magari nemmeno pubblicizzi perché lo fai e basta e va bene così, e quello pagato male o non pagato affatto, che però a volte può aiutare in termini di visibilità…
Davvero?
In realtà no, la storia della visibilità è un falso mito. Anche se ci sono delle eccezioni: se stai lavorando a una cosa molto importante, magari sì, torna utile. Ma dev’essere davvero gigantesca. Poi dipende dai contesti. Se sei un piccolo streamer e ti spinge Dario Moccia può avere senso. Diversamente credo proprio di no, anche perché io ho scritto per anni in spazi editoriali molto importanti e non è che mi sia tornato chissà cosa. “Ah, lavori per la Rai…”, macché, ho sempre dovuto sgomitare.
A proposito di Rai, come va con Altri Mondi?
Mi trovo benissimo con Dario Marchetti e con tutto il team. Altri Mondi mi dà la possibilità di parlare di videogiochi a un pubblico ampio, generalista, anche di famiglie. La cosa che più mi piace del mio lavoro è incuriosire chi non conosce un tema o un argomento, più che parlare a chi ne sa già abbastanza.
Ti ci vedresti in una redazione, magari con contratto e posto fisso?
Forse mi sentirei un po’ soffocato, ma devo dire che non ho mai vissuto una situazione simile. Di sicuro mi manca l’esperienza della redazione come luogo fisico in cui scambiare idee con gli altri. Magari la sto idealizzando proprio perché non l’ho mai vissuta, non so. Certo da freelance hai dei vantaggi: non devi spostarti ogni giorno per raggiungere il posto di lavoro, organizzi la giornata come ti è più comodo, puoi fare più cose contemporaneamente…
Però con un bel sovraccarico mentale.
Sì, anche qui bisogna lavorarci. Col tempo ho imparato a stare più concentrato, a tener fermo il cervello che lotta per aggrapparsi a mille stimoli esterni mentre tutto intorno a te si muove alla velocità della luce: mail, messaggi, telefonate, cose da scrivere. È importante saper rallentare, io ad esempio ho preso l’abitudine di scrivere a mano su un taccuino per mantenere il controllo sulle cose. Con l’età ho perso in freschezza, anche per via di qualche burn out. Bisogna imparare a conservare le energie.
La tua fatica la racconti spesso come parte del mestiere, della tua vita. Aiuta?
A livello personale sì, aiuta. La risposta da parte di chi mi legge è sempre positiva e molto comprensiva (un po’ meno quella da parte dei committenti...). E poi per così dire è utile a evitare una narrazione perfetta di sé, proprio perché condividi anche le difficoltà. D’altra parte bisogna stare attenti perché se parli solo di difficoltà può diventare una linea editoriale anche quella. E le linee editoriali in qualche modo ti intrappolano sempre.
Bisogna essere molto smaliziati, negli ambienti digitali odierni. L’internet di metà anni Novanta/inizio Duemila era molto diversa.
Be’, sì. Un posto molto più libero, ma anche più ostico da gestire. Pensa a quant’era difficile farti un sito o anche solo mettere mano al tuo Myspace. Però avevi davvero la possibilità di trovare il tuo modo di esprimerti, di capire chi eri, chi volevi essere, senza legare tutto questo al rischio di diventare merce a tua volta, senza la paranoia di dover monetizzare a tutti i costi.
A proposito di monetizzare: influencer e creator, qual è il rapporto? Ne hai scritto diverse volte.
È una questione semantica. Prima c’erano le divisioni per piattaforma: instagrammer, youtuber… Poi con l’avvento di figure come Chiara Ferragni s’è iniziato a parlare di influencer. Ma influencer a sua volta è diventata un’etichetta un po’ deprecabile, erano visti come personaggi che dovevano per forza venderti qualcosa, o addirittura ingannarti. Infine, ecco la definizione di creator: in fondo lo siamo tutti, tutti creiamo contenuti per le piattaforme, magari provando a guadagnarci qualcosa, a farne un lavoro. Ma il confine è molto sfumato.
Cioè?
Alcuni creator sono anche influencer, perché hanno la possibilità di orientare lo sguardo del pubblico su un determinato prodotto o su un argomento che gli sta particolarmente a cuore per ragioni che possono anche non essere strettamente commerciali. Prima citavo Dario Moccia: se lui, creator, dà un giudizio positivo su un prodotto, le persone lo comprano, c’è poco da fare. E infatti Moccia fa gola anche per la sua community, come qualsiasi influencer.
A proposito: tu hai creato N3rdcore, che è la tua community. Mi sembra che siate molto affiatati, che abbiate recuperato un po’ lo spirito comunitario della vecchia internet.
Con N3rdcore ci proviamo, sì. Anche se è sempre difficile quando si parla di spazi piccoli che non possono garantire una retribuzione. Le persone crescono, cambiano, hanno mille impegni. Ma ci sta. Sono molto felice di N3rdcore, di tutto quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare. La dimensione collettiva va assolutamente recuperata, paradossalmente i social ci hanno reso meno “comunitari” di prima.
Un’esperienza collettiva (e di comunità) l’hai fatta di recente, candidandoti al consiglio comunale di Firenze.
Sì, ero in lista con Sinistra Progetto Comune, a sostegno di Dmitrij Palagi. Mi ci sono un po’ buttato, l’esperienza è arrivata un po’ inaspettatamente, per quanto io mi sia sempre schierato in un certo modo. È stato interessante, ho conosciuto tante persone, tante pratiche che mi erano oscure rispetto a come funziona una campagna elettorale, ma anche la politica amministrativa. Certo ci sono cose che si possono fare meglio, ad esempio nella comunicazione. Comunque il mio percorso continua, al momento sono uditore della commissione cultura: monitoro tutto quello che succede per capire come può intervenire il nostro gruppo consiliare.
È un’esperienza che consiglieresti?
Mi rendo conto che per molti la politica è respingente: si pensa subito all’intrallazzo, all’inciucio, ma fare politica è anche, banalmente, dare una mano, renderti utile, sistemare una buca in un quartiere. Di base è capire dove puoi arrivare e cosa puoi fare attivando altre persone, altre energie. E poi impari tante cose, impari a capire come funziona il posto in cui vivi, ma anche a mediare con gente molto diversa da te, interrogandoti a fondo su cosa puoi fare per gli altri. Quindi sì, la consiglierei.
È tutto! E tra una settimana? Soft Links: tre link, un libro e una canzone. Ciao!