La vita è altrove
Anche negli ambienti digitali. E poi un consiglio: scrivi, scrivi di più, scrivi sempre
Ciao, non ho ancora deciso cosa fare di questo 2025 di Sobrietà. Uscite settimanali o quindicinali? Quanto lunghe? E di cosa parliamo? Che fretta c’era? Maledetta primavera? Nel frattempo faccio un’altra puntata così, un po’ a sé, su questa cosa di uscire dai social, magari per venire proprio su Substack. E poi ci risentiamo quando ci risentiamo. Buona lettura!
In queste ore molte persone sono in fuga da X e da Facebook, qualcuno anche da Instagram. Personalmente non credo siano aumentati i motivi per andar via rispetto a un mese fa: è proprio il modello delle piattaforme che è rotto da tempo – e anche brutto, sotto molti aspetti malvagio. Infatti bisognerebbe mollare anche Google.
E poi anche se andiamo via, è praticamente certo che finiranno col sostituirci coi bot, così Zuckerberg potrà comunque vantarsi di avere un fantastiliardo di utenti attivi sulle sue piattaforme.
Ma va bene. Prima o poi doveva arrivare questo momento e per certi versi dovremmo essere grati a Trump, Musk e compagnia perché hanno reso tutto più chiaro: i social sono come la peggiore televisione.
Magari uno si è impegnato tutta la vita a schivare chessò Rete4 e la prima serata di Rai Uno, e adesso si ritrova quello stesso tipo di contenuto inguardabile direttamente nel telefono.
Per dire: io ho sempre pensato che l’attrazione dei social per Sanremo, specie tra un pubblico piuttosto giovane, fosse il segno della fine di una certa internet. Cioè: la rivoluzione digitale di qua e di là, e poi abbiamo riportato in vita il vecchio baraccone dell’Ariston coi social perché ehi, è divertente, si fa per il meme. Questo ho sempre pensato, e adesso trovo finalmente il coraggio di scriverlo. Per me quella è stata la fine, almeno in Italia, e lo ripeto – visto che ho trovato il coraggio di scriverlo.
Quindi adesso tante persone provano a immaginare un altrove possibile: Bluesky, Mastodon, eccetera. Se internet è stato l’altrove per eccellenza delle nostre vite “reali”, adesso si cercano possibilità alternative a questo altrove. La vita è sempre altrove, del resto. Chi lo diceva? (La risposta arriva alla fine della puntata).
Ma cosa cercano le persone in questi ambienti digitali alternativi? Semplice: posti più sicuri. Posti più accoglienti. Posti più onesti, in cui il modello non è trattenerti più a lungo possibile per farti litigare, e nel frattempo sfilarti il portafogli dalle tasche (portafogli = dati e informazioni).
Senti uno scemo: costruire spazi digitali sicuri sarà la sfida del futuro, anche per privati, aziende e perché no, istituzioni ed enti pubblici. Ne riparleremo sicuramente anche su Sobrietà.
Tutti su Substack
Una conseguenza di questo esodo è l’approdo in massa alle newsletter, ad esempio su Substack (che non ho ancora capito quanto sia un posto sicuro). È molto bello che tante persone vogliano prendersi un tempo diverso per esprimersi attraverso la scrittura, anche se a dirla tutta questa è l’epoca dell’oralità. Ma se qualcuno vuole cimentarsi con quel vecchio arnese che è la scrittura, secondo me è interessante.
In generale, tutti dovrebbero provare a esprimersi attraverso la scrittura. Quando ci si lamenta che tutti scrivono, io non capisco. Scrivere fa bene. È difficile. Ma fa bene. Scrivere un testo è un esercizio che pesca nell’irrazionale, concluderlo e farlo funzionare invece è una questione di logica… È strano e difficile da spiegare: tanto vale provarci.
In ogni caso, meglio scrivere che stare a fissare passivamente il vuoto negli schermi dei telefoni (perché quella è una forma di vuoto delle più subdole).
L’idea che pochi debbano scrivere (libri, newsletter, articoli o altro) è un’idea elitaria che nulla ha a che vedere con il progresso dell’umanità. Ti immagini dire lo stesso della musica? Magari stai lì a suonare la chitarra con gli amici, e arriva uno a borbottare: “Eh, adesso tutti musicisti”.
Che poi anche con la musica ci si è provato: da un lato quelli che fanno i dischi, dall’altro quelli che li ascoltano. Ma prima della nascita della discografia moderna, quelli che suonavano e quelli che ascoltavano erano le stesse persone!
Io ho sempre scritto non per i like o i commenti, ma perché avevo bisogno di esprimermi. Oggi scriverei comunque, anche se non fosse il mio lavoro. Ho un’età per cui ho fatto in tempo a frequentare e realizzare fanzine e riviste autoprodotte e distribuite a mano. Internet ha rappresentato la possibilità di esprimermi in connessione con molte più persone (e di leggerle a mia volta). È accaduto, è stato bello, poi si è virato da tutt’altra parte con i social: la possibilità di esprimersi è diventata semplice comunicazione, in qualche caso marketing, in molti casi personal branding di pessimo gusto.
Professionalizzare l’espressione umana è sempre un grosso errore. Poi sì, ci sono i grandi artisti in ogni materia e disciplina, ma far passare l’idea che solo i grandi artisti debbano esprimersi liberamente è davvero una pessima idea.
Perciò scrivi. Ti farà bene e anche un po’ male, quindi ti farà soprattutto bene. Su Substack o dove ti pare: scrivi, scrivi di più, scrivi sempre.
Tre link
Ciao David Lynch, grazie di tutto, anche per la pubblicità della Barilla con Gerard Depardieu e Alessia Merz.
E per quella della PlayStation 2, ovviamente (di cui non si parla nell’articolo al link sopra 🤔).
A proposito: sono un grandissimo appassionato di videogiochi. Mi piace giocarli, ma mi piace anche capire come se ne parla in giro. Uno che è molto bravo a parlarne è
, che è da poco partito con , la newsletter in cui racconta il rapporto tra i suoi figli piccoli e i videogiochi.
Un libro
Ecco chi era. Kundera è uno dei pochissimi scrittori che riesce a farmi ridere di gusto con la sua scrittura (anche se non ricordo se era questo o Il valzer degli addii, ad avermi fatto ridere di gusto).
Una canzone
Perché non ho ancora rivisto Slevin? Cosa sto aspettando?