Se l'influencer economy non si fa industria
E poi un libro su Chiara Ferragni e la "società incivile"
Puntata a metà: nella prima parte parliamo di creator e influencer economy; nella seconda restiamo in tema ma con un po' di autopromozione: è da poco uscito il libro su Chiara Ferragni che ho scritto con Paolo Landi. Buona lettura.
È incredibile il numero di “economie” nate in seno al digitale nel corso della sua storia. New economy, net economy, gig economy, smart economy, sharing economy, co-economy, platform economy… Fino ad arrivare alla creator e alla influencer economy degli ultimi anni.
Leggo sempre con estremo interesse quello che si scrive a proposito di queste “economie”, con il sospetto che, venuto meno l’hype che si genera di volta in volta, non resti che una bolla. Che prima o poi esplode.
Ultimamente la bolla sembra essere quella della creator economy, di cui la influencer economy, secondo alcuni osservatori, non sarebbe che una sottocategoria. Come funziona? È semplice: i grandi creator/influencer attraggono su di loro e sui loro contenuti l’attenzione di utenti, piattaforme e brand, monetizzando sui grandi numeri e influenzando (è il caso di dire) anche l’andamento e la strutturazione delle stesse piattaforme.
Se in prima battuta è il creator/influencer a cercare e a trovare la formula giusta per sfruttare al meglio il funzionamento di YouTube, TiktTok o Instagram, in seguito sono le piattaforme che in alcuni casi iniziano ad adeguare i loro format per attirare altri creator e tenerseli ben stretti: è il caso dei video di TikTok che iniziano ad allungarsi per inseguire YouTube (di fatto la nuova televisione), mentre YouTube a sua volta acquisisce il formato “shorts”.
Sotto questo aspetto è interessante notare come ormai da diversi anni – da quando Facebook ha inserito il formato Stories su Instagram, “rubandolo” a Snapchat – le feature che caratterizzavano i singoli social media vengano ormai implementate di default su ogni piattaforma, andando così a omologare un po’ tutti gli ambienti digitali, almeno quelli più frequentati.
Tornando a noi: da parte mia, continuo a pensare a influencer e creator come a dei semplici lavoratori dello spettacolo, assimilabili insomma a conduttori televisivi, soubrette, attori, cantanti, eccetera, che di volta in volta si prestano alla pubblicità in forme più o meno nascoste o innovative.
C’è quello che riesce a sfondare, che però invece di arrivare a presentare un programma tv in prima serata fa centinaia di milioni di views su YouTube, e quello che resta a un livello più basso, solo che invece di finire a fare le televendite su qualche tv locale, ce lo ritroviamo su Twitch a streammare per poche centinaia di spettatori, o su Instagram a smerciare scarpe e borse a un pubblico di appena qualche migliaio di follower.
Voglio dire che dovremmo sempre guardarci dall’hype che si porta dietro la cultura digitale, e provare a inscrivere sempre queste “economy” in un quadro economico, sociale e culturale più ampio – in cui non a caso queste “economy” raramente si fanno industria.
Come per le altre “economy” del passato digitale, perché chiamare “economy” un modello, se di modello si può parlare, che crea ricchezza per pochi, che non diventa in alcun modo strutturale? Non sarebbe più corretto parlare di semplice trend, o meglio ancora degli exploit di singoli professionisti all’interno di un rinnovato settore dello spettacolo e dell’intrattenimento?
Anche qui: davvero la creator economy può rappresentare un modello anche solo per l’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento? Piuttosto, non ne è un semplice corollario, un’estensione, una declinazione attraverso strumenti e piattaforme nuove legate, per “natura”, all’estrazione di valore dai nostri comportamenti online?
Quanti MrBeast occorrono per fare una vera e propria industria?
La creator e influencer economy potrebbe realmente avere un valore concreto nelle vite di ciascuno di noi se venisse riconosciuto che, per sostenersi, ha bisogno di un pubblico pagante, che tuttavia non paga la partecipazione allo spettacolo attraverso un biglietto ma creando valore a sua volta, fruendo cioè dei contenuti prodotti da creator e influencer, guardando le pubblicità sulle piattaforme (o pagando abbonamenti per scansarle) e soprattutto fornendo i suoi dati alle stesse piattaforme.
Insomma, nell’equazione di questa “economy” manca uno dei termini fondamentali: l’audience, che coi suoi comportamenti di produzione di valore nel consumo (è bene ripeterlo) è in grado di orientare e alimentare un mercato che resta molto fragile e imprevedibile. Ecco, se un giorno saremo pagati per stare online a guardare i contenuti dei nostri creator e influencer preferiti, allora sì – potremmo parlare di un’economia reale e concreta, se non proprio di un’industria vera e propria.
E veniamo al libro su Chiara Ferragni
Dalla parte di Chiara. Il caso Ferragni e la società incivile, che riprende alcuni dei temi di questa newsletter, è un libro a due voci pubblicato da Krill Books qualche giorno fa.
Le voci sono quella mia e quella di Paolo Landi. Che un giorno mi ha chiamato e mi ha detto, appunto a voce: “Marco, facciamo un libro insieme su Chiara Ferragni”. Ho detto subito di sì perché Paolo, oltre a una cultura sterminata in fatto di comunicazione (e letteratura), ha anche un entusiasmo contagioso; e poi perché da tempo volevo assolutamente tornare a scrivere qualcosa che non fosse destinato al web.
Al di là del titolo un po’ provocatorio (non lo è affatto il sottotitolo), Dalla parte di Chiara è un piccolo volume di critica culturale, che in quanto tale prova a distinguere, analizzare e comprendere alcuni fenomeni, invece di limitarsi a giudicarli.
Di seguito la scheda. E grazie a Mino Degli Atti per averci creduto.
Dalla parte di Chiara. Il caso Ferragni e la società incivile
Se siamo capaci di provare amore incondizionato, quasi certamente saremo capaci di odiare con la stessa intensità.
Paolo Landi, sociologo della comunicazione e Marco Montanaro, scrittore e consulente in comunicazione, prendono le difese di Chiara Ferragni – mentre tutti la attaccano – partendo dal ridicolo caso del pandoro che ha scatenato un conflitto sproporzionato e provano a spiegare perché, secondo loro, Chiara conserva l’innocenza in un mondo dove non è mai esistita.
Editing e Redazione: Margherita Macrì
Progetto grafico e impaginazione: Alessio Lioci e Paola D’Amico
Direttore editoriale: Mino Degli Atti
KRILLBOOKS, 2024
Pagine 86
Il libro si può ordinare sul sito di Krill Books (qui) ed è disponibile in libreria e su tutti gli store online.
Nella prossima puntata
Parliamo di marketing vs creatività attraverso l’Odissea del protagonista di una celebre serie tv. Chi sarà mai? 🤔 Ci leggiamo tra quindici giorni.