E così vuoi fare il social media manager...
No davvero non farlo fermati ti prego non è il caso davvero non
Nonostante sia molto chiacchierato ed equivocato, quello del social media manager resta un mestiere molto importante (e richiesto). Da qualche tempo si ha ben chiara l’idea che dietro la gestione delle pagine e profili social ci sia il lavoro di uno o più professionisti. Sul lavoro che fanno questi professionisti, però, c’è ancora molta confusione. In questo numero di Sobrietà proviamo a fare un po’ di chiarezza, con qualche consiglio finale (per giovani e aziende).
Buona lettura.
Cosa fa un social media manager? Le definizioni non mancano, e probabilmente differiscono più o meno leggermente in base al professionista o all’agenzia cui si rivolge questa domanda.
Io, per risparmiare tempo, l’ho chiesto a ChatGPT. Ecco la sua risposta:
Un social media manager gestisce la presenza online di un’azienda o un individuo sui social media. Questo include la creazione di contenuti, la pianificazione delle pubblicazioni, l’interazione con gli utenti, il monitoraggio delle prestazioni e l’adattamento della strategia in base ai dati analitici. Il loro obiettivo è aumentare l'engagement, l’interazione e la visibilità del brand sui social media.
Mi sembra tutto abbastanza corretto. Diciamo però che in contesti molto grandi alcune delle mansioni indicate da ChatGPT possono essere svolte da figure potenzialmente diverse: il digital strategist per la parte strategica (eh), il data analyst per i dati (già), il content creator per i contenuti (ma dai?) e l’esperto di advertising per le inserzioni a pagamento, giusto per fare qualche esempio.
Ci sarebbero poi anche il community e il brand manager, senza dimenticare i profili senior e junior per lo stesso social media manager (d’ora in poi: SMM), con peculiarità e caratteristiche spesso differenti tra loro.
Per semplificare, allora, possiamo dire che un SMM deve fare molte cose contemporaneamente affinché la gestione di una pagina social funzioni a dovere: davvero tante.
Prendiamo i contenuti, ad esempio: cosa significa creare una serie di post per un’azienda? Probabilmente ci sarà bisogno di produrre testi, grafiche, video e fotografie. Il SMM si occupa anche di questi aspetti? In linea generale direi di sì.
Se non crea contenuti in prima persona, il SMM deve quantomeno occuparsi della loro organizzazione e pubblicazione attraverso piani e calendari editoriali, deve poi ritoccarli e adattarli ai formati delle singole piattaforme (reel, foto, immagini di copertina per una pagina Facebook o per le inserzioni su Meta, e così via) e monitorarne l’andamento rispetto agli obiettivi di comunicazione, prendendosi quindi cura della risposta del pubblico.
Molti SMM che lavorano in proprio finiscono col fare davvero tutto da soli: dai video alle grafiche passando per copy e fotografie, senza tralasciare aspetti più strategici e specifici legati al marketing.
Altri freelance tendono invece a focalizzarsi su pochi aspetti – nel mio caso, ad esempio, strategia e scrittura – collaborando con professionisti che a loro volta si occupano di altre questioni (sempre nel mio caso: fotografi, videomaker, grafici, sviluppatori, eccetera). Si formano così delle piccole squadre che possono anche cambiare di progetto in progetto.
In generale, però, come dicevo, la tendenza è quella di fare un po’ di tutto insieme, maneggiando svariati software e altrettante piattaforme, con una conoscenza complessiva più o meno approfondita di tutta la materia digitale.
Chi si candida a lavorare in un’agenzia di marketing o comunicazione deve saper montare video, scrivere con una certa facilità (magari in più lingue), scattare foto di buona qualità, editarle, possedere rudimenti di marketing digitale, intendersi un minimo di grafica e leggere in modo analitico i feedback che vengono dal pubblico.
Altrettanto in generale, chi lavora in un’agenzia segue più clienti per volta, per i quali svolge ovviamente più servizi. È uno dei motivi per cui il lavoro del SMM è molto logorante, per cui io stesso, pur lavorando da solo, tendo a svolgerlo sempre più di rado.
Immagino – ma non mi è mai capitato, se non all’inizio della mia esperienza – che l’ideale sarebbe lavorare come SMM interno per una singola azienda, con la possibilità di dedicarsi solo ad essa e alle sue campagne di comunicazione, perché no giovandosi di un bel contratto da dipendente con tutte le garanzie del caso. Ma ho il sospetto che anche da dipendenti si finisca per fare un sacco di altra roba che in teoria non dovrebbe riguardarti.
Ho cominciato a lavorare con i social una quindicina d’anni fa, per un grande consorzio di cooperative sociali. All’epoca nessuno, soprattutto in provincia, avrebbe scommesso sull’impatto dirompente di Facebook e compagnia a livello globale. Non ci credevo neppure io, tant’è che ci ho messo un po’ a capire come muovermi. Quando l’ho capito, mi ero messo ormai in proprio.
Per diversi anni ho lavorato come freelance per alcune aziende e in parallelo per alcuni enti pubblici che iniziavano ad affacciarsi sul digitale in maniera più convinta e sistematica. Questo mi ha permesso di spaziare molto, passando da ambiti e settori parecchio diversi tra loro: dalla promozione del territorio alla comunicazione istituzionale fino all’architettura, l’artigianato, la biologia, lo sport, la ristorazione, il teatro, i libri e l’editoria.
Il che non significa che abbia dovuto prendere lauree e master in ciascuna di queste materie, né che sia diventato un tuttologo. Sicuramente, per fare il SMM è necessaria una grande curiosità e una certa elasticità mentale. Devo dire che tutto sommato l’idea di approfondire di volta in volta ambiti molto differenti mi piaceva un sacco – finché non mi è scoppiato il cervello.
Se ripenso alla mia esperienza, mi sembra di aver battuto a lungo una nuova frontiera. Quando ho iniziato, l’idea che dai social potessero passare le comunicazioni ufficiali di aziende e personaggi pubblici era pura utopia (o distopia, per come vanno le cose oggi).
All’inizio, i social si portavano dietro lo spirito un po’ naïf che permeava il web degli albori. Un luogo ben separato dalla realtà, pensato e abitato da smanettoni, tendenzialmente molto giovani. Io stesso non ero formato per lavorare col digitale; all’università i corsi di laurea in comunicazione erano ancora molto legati al giornalismo e al marketing tradizionale.
Quando ho iniziato a lavorare ero semplicemente uno che aveva frequentato forum e chat e aveva messo in piedi blog e siti web per gli affari suoi. Ne sapevo più di altri (gli “adulti”) per aver fruito in prima persona della tecnologia e degli strumenti digitali fin da adolescente. Tutto qua.
Nella mia esperienza ho sempre interpretato il lavoro di SMM mettendomi molto in ascolto, al servizio delle necessità e delle richieste dei committenti. Un lavoro più esplorativo ed estrattivo (di informazioni, visioni e valori della committenza) che creativo, insomma. Non ho mai lavorato alla messa a punto di uno stile mio, che fosse riconoscibile a prescindere dal progetto o dalla collaborazione in atto, perché non credo sia questo il ruolo di un SMM. Ma è il mio approccio alla materia (forse mutuato dal lavoro di ghost writer che ho sempre svolto in parallelo), e non è detto che vada bene per tutti.
Gli aspetti con cui tuttora mi piace confrontarmi maggiormente, anche in fase di elaborazione di strategie e piani di comunicazione, sono la scelta del tono di voce più appropriato per il committente e l’organizzazione dei contenuti (più che la loro creazione).
Ecco, se c’è un aspetto che mi piace del mio lavoro è il momento in cui riesci a intravedere e addirittura stabilire un ordine – nella strategia generale di comunicazione come nella pubblicazione dei contenuti –, l’idea insomma che dal caos oscuro e roboante di identità, idee e proposte della committenza possa affiorare un filo di luce, la speranza che quello che si comunica possa arrivare in maniera limpida, chiara e pulita al pubblico.
Oggi cerco di seguire pochi progetti come SMM perché è un lavoro che alla lunga ti consuma. Non ha orari (se scatta la shitstorm alle tre di notte, non si dorme) e ti tiene costantemente in contatto con altri esseri umani che in quanto tali hanno domande, bisogni, desideri o anche solo voglia di litigare con qualcuno nei commenti. È un mestiere in cui a un certo punto devi importi di staccare, mentre il tuo cervello continua comunque a stare online macinando chilometri digitali.
Non è un lavoro che si può fare per tutta la vita, e infatti presto o tardi sarà interamente svolto da robot.
Consigli per aspiranti SMM e aziende
Non ho idea se ci sia qualcuno al mondo che voglia davvero fare il social media manager nella vita. Nella mia esperienza e in quella di altri social media manager “anziani” è una cosa che è capitata mentre si provava a fare altro.
Ad ogni modo, di seguito provo a dare qualche consiglio sia per gli aspiranti SMM che per le aziende – immagino qui delle imprese locali – che abbiano intenzione di assumerne uno.
Per il giovane che aspiri a rovinarsi la vita:
Sii aperto alle possibilità che ti offre questa professione, ma ricordati che, per quanto “creativo” (ehm), è un mestiere come un altro, di cui è inutile vantarsi con gli amici;
Se vuoi lavorare come freelance, non svenderti per acquisire subito una marea di clienti: se sei bravo arriveranno, se non sei bravo finirai con lo sfruttarti da solo;
Se invece cerchi un rapporto da dipendente, va bene fare esperienza con la pescheria all’angolo ma chiedi sempre garanzie contrattuali: il tuo è un lavoro duro, mentalmente usurante, e va pagato bene; di conseguenza…
...Cerca sempre di preservare il tuo equilibrio mentale e la tua vita privata: il feedback che verrà dalle pagine che gestirai sarà come il campanellino che annuncia il cibo per il cane di Pavlov – ma tu non sei un cane, non ti chiami Pavlov e soprattutto il cibo per cani fa schifo (DLIN DLIN);
Non sei un giornalista né un esperto di marketing: saper scrivere un comunicato o sapere come si vende un prodotto o un servizio ti sarà utile fino a un certo punto. Cerca invece di immergerti nella cultura degli spazi digitali, di capire come funzionano al di là di hype e cretinate virali, chiediti come sono abitati dalle persone e soprattutto ricordati che follower e utenti non sono solo numeri, ma... Ci siamo capiti.
Per l’imprenditore o il responsabile di un’azienda che non sappia che pesci pigliare:
Se hai bisogno di qualcuno che scriva mail e messaggi al posto tuo, probabilmente non stai cercando un SMM ma un segretario o una segretaria;
Ancora prima di cercare un SMM, prova a ricordarti se non hai già qualcuno che si occupa della tua comunicazione e se per caso non lo hai dimenticato in qualche altro reparto (di solito è segregato in amministrazione, vicino alla macchinetta del caffè);
Se prendi un giovane, occhio alla sua esuberanza creativa: non è detto che sia la soluzione ai tuoi problemi;
Se prendi un giovane (è proprio quello che accadrà), molto probabilmente ne saprà più di te su cosa funziona negli ambienti digitali. Non è detto che abbia sempre ragione lui, ma prova ad ascoltarlo – soprattutto, non trattarlo come un semplice esecutore di idee che non sai come realizzare in prima persona solo perché non hai neppure un profilo Facebook;
Chiunque tu scelga di assumere, pagalo bene e tieni sempre a mente il fatto che è destinato a pestare un sacco di merda (è normale, sui social) e a fondersi il cervello entro cinque anni.
Bonus: che lavoro fai?
Una citazione:
“Lo shock della consapevolezza! In un ambiente di informazione elettrica, i gruppi minoritari non possono più essere circoscritti, ignorati. Troppe persone sanno troppo di ognuno. Il nostro nuovo ambiente esige impegno e partecipazione. Siamo diventati irrevocabilmente coinvolti e responsabili l’uno per l’altro.”
Da Il medium è il massaggio (1967) di Marshall McLuhan, prodotto da Jerome Angel con la grafica di Quentin Fiore. In Italia il libro è pubblicato da Corraini Edizioni.